Musicoterapia in Neuroriabilitazione

di Sara Bernardi, musicoterapeuta

Molti aspetti della vita mentale coinvolgono la musica: musica, infatti, non è solo suonare uno strumento ma è anche cantare, saper leggere e decodificare le note, suonare in gruppo, comprendere la gestualità, ascoltare, ballare. Queste capacità fanno riferimento a processi mentali che, grazie agli studi dei neuroscienziati, sappiamo essere comuni ad altre funzioni come il linguaggio: suonare uno strumento necessita di capacità percettive legate all’ascolto, di capacità di movimento e coordinazione, di emozioni, creatività e memoria. Le nuove tecniche di neuroimaging hanno mostrato come questi processi avvengano in regioni specifiche del cervello: sappiamo che non esiste un centro cerebrale della musica, ma, essendo la musica uno stimolo complesso, l’informazione viene elaborata in diverse aree a partire dalla corteccia uditiva primaria cui arriva dall’orecchio attraverso le fibre uditive. Nella corteccia uditiva vengono selezionate le diverse componenti del suono e le relative informazioni vengono da qui trasmesse in altre regioni del cervello localizzate soprattutto nell’emisfero destro (nei non musicisti). Da qui si attivano contemporaneamente le regioni del linguaggio, la corteccia motoria e il cervelletto legati al movimento, l’ipotalamo e l’amigdala coinvolti nelle emozioni suscitate dall’ascolto e il centro della memoria, ossia l’ippocampo. 

Centro di Wernicke

L’elaborazione musicale condivide specifiche aree deputate ad altre funzioni. Ad esempio, il centro di Wernicke, specializzato nella parola, decodifica il segnale musicale in entrambi gli emisferi e lo trasmette senza mediazione al corpo e al sistema neurovegetativo che regola ritmo cardiaco, pressione arteriosa, richiamo sessuale e conduttanza cutanea ed endocrino che rilascia ormoni quali ACTH, ossitocina, vasopressina. Ancora, il piano temporale, situato nel lobo temporale è associato all’elaborazione del linguaggio ma anche alla classificazione dei suoni e alla definizione semantica e sintassi musicale. 

Considerando il grado di impegno cerebrale nell’ascolto e nella pratica musicale, si è iniziato ad osservare come l'esperienza musicale modifica l'organizzazione strutturale e funzionale del sistema nervoso dei musicisti, rendendoli progressivamente più addestrati ad analizzare il materiale sonoro e a produrlo (Schlaug et al, 1995) partendo dal concetto di plasticità cerebrale, ossia la capacità del sistema nervoso centrale di modificare la sua struttura anatomica attraverso la formazione sia di nuove cellule nervose, sia di filamenti sinaptici. L’addestramento musicale induce cambiamenti nel cervello come modificazioni nei sistemi motori coinvolti nel canto o nel suonare uno strumento, cambiamenti nelle aree del sistema uditivo deputate al riconoscimento degli elementi armonici, ritmici e strutturali della musica. Quindi, con il passare degli anni, il cervello del musicista si modifica a livello anatomico e strutturale dando vita alla formazione di nuove connessioni neurali tra la corteccia uditiva, visiva, motoria e somatosensoriale. Queste modificazioni plastiche sono tanto più marcate quanto prima iniziamo l’attività musicale: si è visto che la risposta corticale è maggiore nei musicisti che hanno iniziato a studiare prima dei 12 anni e che, a seconda dello strumento, il cervello si modifica in modo diverso. 

Partendo da questi presupposti è facile ipotizzare che la pratica musicale può costituire un valido supporto alle malattie neurodegenerative come la demenza, l’Alzheimer e i disturbi del movimento, ma anche a problematiche come le paresi e ai disturbi del linguaggio: uno studio su un paziente afasico, dimostra come dopo una terapia basata sul canto, il fascio arcuato di sinistra (responsabile della connessione tra l’area di Broca e l’area di Wernicke) danneggiato torni ad uno spessore pressoché normale. Questo perché la connettività nell’emisfero destro si sviluppa molto attraverso il canto. 

Area di Broca

Diversi studi dimostrano l’efficacia della musica e degli interventi musicali in ambito neurologico. Ad esempio, si è visto come interventi musicali strutturati che comprendono stimoli ritmici, canto e ascolto di musica selezionata dal paziente, possono contribuire a migliorare stabilità ed equilibrio, favorire una migliore coordinazione motoria stimolando la funzionalità delle performance fisiche e della respirazione, migliorare il ritmo sonno-veglia e ridurre il tremore e le discinesie nel Parkinson, costituendo un valido supporto alle terapie riabilitative. Questo grazie alla stimolazione del cervelletto e dei gangli della base, implicati nella sincronizzazione dei ritmi musicali così come nella sincronizzazione e coordinazione dei movimenti. Inoltre, fornisce un aiuto a favore dell’attenuazione del dolore provocato dalla cattiva postura e dalla sedentarietà: la musica, infatti, sembra aumentare la produzione da parte del cervello di endorfine che agiscono come analgesici e antidepressivi naturali dell’organismo. 

Ancora, la musica come strumento terapeutico apporta un valido contributo nell’ambito delle gravi cerebrolesioni acquisite a partire dalla valutazione interdisciplinare dello stato di coscienza dei pazienti a bassa responsività, tanto che in Inghilterra viene utilizzata per valutare se il paziente si trova in uno stato di non responsività o minima responsività: la musica, infatti, attivando contemporaneamente più aree del cervello, dimostra anche quali vie sono ancora attive. Si è visto che la musicoterapia sollecita attivamente, utilizzando l’unico canale disponibile in pazienti in coma che non vedono, non parlano e non possono comunicare con l’ambiente esterno, poiché le vie uditive sono quelle che restano funzionanti. Individuare un possibile canale di contatto può contribuire, in un’ottica di integrazione interdisciplinare, al recupero dello stato di coscienza grazie alle potenzialità evocative ed emozionali dell’elemento sonoro musicale.
Gli interventi musicali possono accompagnare tutte le fasi del recupero, dai disturbi di coscienza, a quelli cognitivi, motori e del comportamento, fino ad arrivare alle alterazioni dell’emotività e dell’umore. 

A proposito di emozioni sappiamo che l’ascolto di musica per noi piacevole consente l’attivazione del circuito dopaminergico deputato al supporto delle sensazioni di piacere, in particolare del nucleo accumbens che rappresenta il centro del piacere. Siamo arrivati a queste conoscenze solo nei primi anni Novanta, grazie all’avvento di moderni strumenti di ricerca in ambito delle neuroscienze cognitive come le tecniche di Neuroimaging, fra cui la Risonanza magnetica funzionale (fMRI), la Tomografia ad emissione di positroni (PET) e l'Elettroencefalogramma (EEG). Si è visto come la musica può agire su diverse funzioni e processi cerebrali, tanto che, intorno alla fine degli anni Novanta, ricercatori e clinici in musicoterapia e neurologia hanno iniziato a classificare le nuove evidenze relative all’utilizzo specifico della musica all’interno di un sistema di tecniche terapeutiche conosciute oggi come Neurologic Music Therapy (NMT), approfondite nel prossimo articolo. 

Musicoterapia e disturbi del comportamento alimentare

di Sara Bernardi, musicoterapeuta

La prevalenza dei tre principali disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata) è in pericoloso aumento.

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad un’impennata di casi tanto che, negli Stati Uniti, le associazioni mediche che si occupano di disordini alimentari non esitano a definirli una vera e propria epidemia che attraversa tutti gli strati sociali e le diverse etnie. Secondo la American Psychiatric Association sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.

Tali disturbi riguardano le problematiche che interessano la relazione fra l’individuo e il cibo, le quali finiscono per causare effetti devastanti sulla persona che ne soffre, sia dal punto di vista fisico che mentale a tal punto da arrivare a causare danni multi-sistemici a carico di diversi apparati, come il gastrointestinale, il cardiovascolare, l’endocrino. Inoltre possono provocare seri danni a reni e fegato e danneggiare denti e gengive. Le donne sono soggette ad amenorrea (nel caso della anoressia) e ad altri disturbi relativi al ciclo; comportano altresì problemi a carico del sistema nervoso causando deficit di memoria, attenzione e concentrazione.

Gli effetti psicologici sono altrettanto devastanti: chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, infatti, tende a sviluppare problematiche psicologiche quali depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a mantenere relazioni sociali e familiari, sbalzi di umore, tendenza a comportamenti manichei e maniacali, propensione al perfezionismo (Istituto Superiore di Sanità).

Un numero sempre più crescente di pazienti affetti da tali problematiche chiede assistenza professionale, pertanto vi è la necessità di creare ulteriori strategie di trattamento che non si limitino ai ricoveri nei reparti di psichiatria o alla nutrizione forzata e che puntino ad un approccio multidisciplinare.

L’equipe che prende in carico la persona con disturbi del comportamento alimentare, dovrebbe comprendere psichiatri, psicologi e nutrizionisti ai quali affiancare, come valido supporto, un percorso musicoterapico che miri all’apertura di canali sensoriali ed emotivi attraverso cui la persona possa rientrare in contatto con il proprio corpo, i vissuti emotivi che la coinvolgono e i comportamenti che ne derivano, riflettendo sull’immagine che ha di se stessa e sulla maniera di relazionarsi con l’altro da sé (L. Guerra)

Spesso, chi soffre di questi disturbi tende a chiudersi, abbandona la volontà di comunicare con gli altri ma anche con se stessi, perdendo così il contatto con il mondo esterno ed interno. In mancanza di una volontà di condividere verbalmente gli stati emotivi interni, la musicoterapia, favorendo una comunicazione senza parole attraverso cui poter veicolare i propri stati emotivi, risulta essere un efficiente canale di apertura , nonché un ponte fra mondo interno e mondo esterno.

Ascoltare o produrre musica insieme al musicoterapista (e con il gruppo), conduce a poco a poco il soggetto nell’ambito dei ricordi, delle sensazioni, dei blocchi mai superati (L. Guerra). In questo modo sarà possibile aprire una finestra sul vissuto della persona e sciogliere quei nodi apparentemente indissolubili che portano tanto disagio, creando un percorso attraverso il quale passare dalla possibilità di esprimere le proprie emozioni alla capacità di decodificarle e regolarle.

Tale percorso sarà strutturato e calibrato sul rispetto delle esigenze e delle risorse della persona che lo intraprende, con estrema attenzione al tipo di disturbo e alle difficoltà che questo comporta. Il musicoterapista valuterà se proporre un intervento individuale, di gruppo, o se combinarli entrambi e se utilizzare una musicoterapia attiva, che prevede l’improvvisazione musicale da parte della persona in interazione con il terapista o gli altri membri del gruppo, recettiva che non consiste nel mero ascolto passivo di musica, ma nel creare le condizioni affinchè si attivino le funzioni logiche dello spirito umano ,(Riemann) o entrambe. La prima, attraverso l’improvvisazione, consente di stabilire un rapporto fra i partecipanti e facilitarne l’espressività, la seconda favorisce la comparsa di reazioni affettive, stimola l’immaginario, e distende corpo e mente. In ogni caso la persona sarà inserita in un contesto accogliente e contenitivo in cui potrà sentirsi libera di esprimere se stessa all’interno di una relazione di aiuto.

Un percorso musicoterapico ben strutturato, può migliorare la qualità della vita, le relazioni interpersonali e le capacità sociali nelle persone con disturbi mentali. Non solo: la musicoterapia può aiutare a promuovere l'autodeterminazione e la collaborazione con i pazienti concentrandosi sui punti di forza e sulla pratica orientata alle risorse.

La letteratura sostiene l’efficacia della pratica musicoterapica nel recupero della salute mentale, ponendo grande enfasi sull'empowerment, ovvero la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell'ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale. Maggiore effetto si riscontra in contesti di ricovero ospedaliero, in cui l’autodeterminazione e la libera scelta possono risultare oppresse.

La musicoterapia può offrire una motivazione per il recupero dai disturbi alimentari, la distrazione da pensieri e sentimenti negativi, un senso di autonomia e di espressione creativa. Casi di studio riportano esperienze di pazienti che hanno descritto sentimenti di rinnovata fiducia in se stessi e di empowerment attraverso la partecipazione alla musicoterapia. In uno studio qualitativo che esplora le percezioni del canto di gruppo di otto persone con disturbi alimentari, i partecipanti hanno riportato diversi benefici emotivi e cognitivi, tra cui l'impegno mentale e l'opportunità di prendere le distanze dai problemi della vita.

La Musicoterapia da ieri a oggi

di Sara Bernardi, Musicoterapeuta

Sin dall’antichità la musica è stata usata come strumento terapeutico. Miti e racconti sul potere di guarigione del suono sono numerosi in molte culture: troviamo un primo esempio nel Vecchio Testamento, i cui protagonisti sono le figure bibliche di Davide e Saul. In questo racconto, Saul viene impossessato da uno spirito maligno; quando peggiorò e la malattia si fece più veemente, Davide, apprezzato musicista, fu chiamato al suo cospetto per aiutarlo a combattere la malattia demoniaca con la sua arpa e la sua lira.

E ogni volta che lo spirito malvagio affliggeva Saul, Davide prendeva l’arpa e suonava. Saul così si riprendeva, si calmava, stava meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui”.

A prescindere dalle controversie sulla natura della malattia (che comunque concordano sull’aspetto “melanconico”) e sul suo sviluppo, è abbastanza evidente come, in questo episodio, Davide investa il ruolo di musicoterapeuta che cerca di alleviare le sofferenze psichiche di Saul con la sua musica.

Le prime culture associavano allo stato di malattia la presenza di spiriti maligni che dovevano essere scacciati dal corpo e dalla mente del malato. Per farlo il sacerdote medico (lo sciamano) utilizzava canzoni e melodie ritmiche accompagnate, spesso, dal suono di zucche vuote o tamburi percossi. La convinzione, in origine, era che la musica avesse un potere incantatorio sulla parte irrazionale dell’uomo, potere che procurava benessere e che, nei casi di malattia, poteva ricostituire l’armonia perduta.

La cultura greca poneva la musica al centro della vita sociale, e religiosa. I greci, infatti, ritenevano che la musica fosse la medicina dell’anima, tanto che i ragazzi fin dalla più tenera età erano guidati nello studio della musica.

Nella culture occidentali era fortemente presente una tradizione secondo la quale musica  e salute erano strettamente correlate. Pensiamo, ad esempio, alla scienza medica greca, o al filosofo Pitagora, il quale attraverso un strumento musicale da lui creato chiamato “monocordo”, sperimentava la relazione fra la vibrazione delle note e la coscienza umana.

Ippocrate trovava una positiva influenza della musica sui quattro temperamenti: sangue, flegma, blie gialla e bile nera che, tradotti in stadi d’animo, si identificano rispettivamente con : rubicondo, sereno, irascibile, malinconico.

Platone ne “La Repubblica” afferma che specifiche melodie stimolano determinati stati d’animo. Aristotele credeva nel potere catartico, liberatorio e purificatore della musica e ne sosteneva i benefici relativi alle tensioni psichiche.

Ancora, nel trattato “De Medicina”, il medico e filosofo Celso raccomanda l’utilizzo della musica e dei suoni per alleviare le sofferenze dei pazienti con disturbo depressivo.

Anche in Oriente il potere terapeutico della musica non poteva passare inosservato, in particolare in Cina, dove il primo libro scoperto di medicina era al contempo un libro di musica. Nello stesso periodo storico gli Arabi studiavano il flauto come mezzo terapeutico e lo usavano per curare i disturbi mentali.

Troviamo esempi di musica curativa anche nel Medioevo. Il più famoso nella Divina Commedia, quando Dante incontra nel Purgatorio il musico Casella, che aveva intonato le sue canzoni, per ricordare l’effetto benefico che gli veniva dal suo canto.

Dobbiamo attendere il 1700 per assistere alla stesura del primo trattato di musicoterapia a cura del medico  londinese  R. Brochiensby. È in questo periodo che la disciplina inizia ad acquistare una certa valenza scientifica.

A questo seguirono i  lavori  di  molti  altri  tra  medici  (Roger,  Linchental,  Chomet,  Tissot),  psicologi  e  psichiatri  (Esquirol, Stumpf).  L’idea ormai  comune  era  che  la musica, pur non avendo una valenza medica diretta, rappresentasse un  importante  strumento  di  supporto  alla  medicina.

Già dal 1891 in Inghilterra si cominciò ad utilizzare la musica nelle corsie ospedaliere per calmare i  pazienti e allo stesso modo fu poi utilizzata nei campi di degenza americani durante la seconda guerra mondiale (e poi anche in Vietnam). In questa particolare circostanza si creò, quasi  spontaneamente,  una  figura specializzata che  sarebbe  in  seguito  diventata  quella  dell’attuale musicoterapeuta. 

Nel 1919, presso la Columbia University (USA) fu istituito il primo corso non ufficiale di  musicoterapia, seguito nel 1944 da un corso quadriennale di specializzazione presso l’Università  del  Michigan,  fino  a  giungere all’istituzione del primo corso  ufficiale  di  musicoterapia presso  l’Università  del  Kansas,  nel  1946.  Dal 1950 in poi, sia negli Stati Uniti sia in Europa iniziarono a nascere diverse associazioni e società nazionali di musicoterapia che, nel 1985 si  disciplinarono con  la  fondazione della World Federation of Music Therapy  (WFMT),  ancora oggi  attivo  organismo di controllo internazionale della musicoterapia.

Oggi la musicoterapia è riconosciuta come professione sanitaria in molti paesi e vanta una vasta gamma di ambiti applicativi. I tre grandi gruppi in cui si possono sintetizzare e che approfondiremo nel prossimo articolo sono: preventivo, riabilitativo e terapeutico.