Federica De Nunzio, psicologa-psicoterapeuta.
Siamo cresciuti con l’idea che l’amore di un genitore sia incondizionato. Che i genitori ci aiutino, ci sostengano, ci spingano a realizzarci “per il nostro bene”, senza aspettarsi nulla in cambio.
Eppure, nella pratica clinica e nelle narrazioni quotidiane, emerge una realtà più complessa. In molte famiglie, il sostegno genitoriale – economico, emotivo, pratico – è accompagnato da una richiesta implicita di restituzione. Un patto silenzioso che recita più o meno così: “Io ti aiuto oggi, ma tu non devi lasciarmi domani”.
Non si tratta solo di una speranza d’affetto: a volte questa aspettativa diventa un vincolo, una condizione, un dovere emotivo.
Frasi come “Con tutto quello che ho fatto per te…”, “Quando sarò vecchio, tu ci sarai per me, vero?”, oppure “Non dimenticare chi ti ha cresciuto” sembrano affermazioni d’affetto, ma spesso nascondono una richiesta più profonda: non andartene, non tradirmi, resta con me.
Questi messaggi possono trasmettere ai figli una responsabilità che va oltre il legame affettivo sano: diventano una garanzia contro la solitudine, la malattia, l’abbandono.
Il problema è che, quando questa aspettativa non viene riconosciuta e discussa apertamente, si trasforma in una forma di condizionamento relazionale.
In alcuni casi, il bisogno di sicurezza e compagnia del genitore diventa un ricatto emotivo. Il messaggio implicito è: “Ti ho dato tutto, ora tocca a te non deludermi”.
Il figlio o la figlia, pur volendo costruire una vita autonoma, si sente in colpa anche solo al pensiero di ferire o deludere il genitore.
Questo senso di colpa può diventare un freno potente, frenando le proprie scelte professionali, ostacolando le relazioni sentimentali, impedendo di mettere confini.
Il ricatto morale è tanto più efficace quanto più è subdolo e normalizzato: non ci sono minacce esplicite, solo un dolore mostrato con intensità, un silenzio che pesa, un tono che punge.
Crescere con la sensazione di dover “ripagare” il sostegno ricevuto può portare a:
Alla lunga, tutto questo può sfociare in esaurimento emotivo, ansia relazionale e scarsa autostima.
I genitori che agiscono in questo modo spesso non sono manipolatori consapevoli. Molti lo fanno per fragilità emotiva, paure legate alla vecchiaia, o modelli familiari appresi.
Comprendere queste motivazioni può aiutarci ad avere empatia, ma non deve impedirci di vedere quando un legame affettivo sta diventando vincolante o disfunzionale.
Liberarsi dal ricatto emotivo non significa “abbandonare” i propri genitori, ma riconoscere il proprio diritto all’autonomia emotiva. Ecco alcuni passi:
Un legame familiare sano si fonda sul rispetto reciproco, non sul debito.
I figli non sono un'assicurazione sulla vecchiaia, né un investimento da far fruttare: sono persone con una propria vita, i propri desideri e limiti.
Imparare a voler bene senza pretendere, a dare senza ricattare, è forse il gesto più evoluto e autentico che un genitore possa fare.
E per chi è figlio, imparare a scegliere senza sentirsi in colpa è una conquista di libertà e amore verso se stessi.